Notizie Storiche |
IX - XI (origini carattere generale)
In località Paratinule (toponimo presente anche ad Atella, S. Arpino d'Aversa; "palatinulae", diminutivo di "palatina", da "palus", piccoli vivai di piantoni o forse piccole palizzate, a difesa delle inondazioni d'Arno e dei vari torrenti), ad oriente di Firenze, nella prima metà dell'XI secolo Rolando (Orlando) di Teuzo detto il Moro appartenente ai "filii Eppi" è copatrono di un oratorio del IX-X secolo, dedicato a S. Salvio o Salvinio (Salvius, Saint Sauve), vescovo di Amiens nel VII secolo (dal 686 al 692?), eretto, secondo la tradizione, da due monaci francesi e che conservava quale reliquia un braccio del Santo. La dedicazione ad un francese parrebbe documentare, come per il primitivo oratorio di S. Remigio, l'esistenza di uno spedale per pellegrini romei legato alla Francia del Nord e alla strada proveniente da Canterbury e che attraverso Calais - Arras (o Amiens) - Reims scendeva verso l'Italia. L'oratorio è tenuto dal presbitero Pietro.
1048 (cenni storici fondazione monastica)
L'abbazia di S. Salvi è fondata da Rolando di Teuzo ("Rollandus qui Moro vocatur filius bonae memoriae Teuzi") per i seguaci di S. Giovanni Gualberto (995-1073) - i Vallombrosani - nel 1048, inglobando il precedente oratorio e un contiguo terreno circondato da un antico muro (allora condotto da Pietro e Giovanni di Martino "de Curte", toponimico della famiglia) donato dal fondatore. La donazione della porzione del precedente oratorio con altri beni vicini di pertinenza di Rolando risale al 16 aprile di quell'anno, atto rogato dal notaio Alberto. Altre donazioni (l'ulteriore porzione dell'"ecclesia et oratorium" e terreni circostanti) erano già state donate ai monaci il 26 marzo 1048 da Pietro e Gerardo di Giovanni di Guardo (Guardi o Caponsacchi?) con atto rogato dal notaio e giudice Ghilberto (documento da taluni ritenuto un falso redatto dai Vallombrosani nel XIII secolo). La nuova chiesa monastica è dedicata a S. Michele Arcangelo.
1048 - 1055 (cenni storici carattere generale)
Berizo (Berizone), discepolo di Giovanni Gualberto, è il primo abate di S. Salvi sino al 1055, voluto da Rolando di Teuzo, che aveva disposto che lui stesso e i suoi eredi, insieme agli altri comproprietari dell'"ecclesia et oratorium" preesistente, avessero la facoltà di partecipare all'ordinazione dell'abate "secundum sacras constitutiones et Sancti Benedicti normam", imponendo che i religiosi rifuggano la "simoniacam heresiam" (con riferimento indiretto al vescovo fiorentino Mezzabarba). Arrigo III nel 1055 concede al monastero vari privilegi. Da S. Salvi i Vallombrosani conducono, infatti, la lotta contro il vescovo simoniaco Pietro di Teuzone Mezzabarba da Pavia (circa 1030-post 1071) per il rinnovamento della Chiesa.
1050 ca - XII (cenni storici carattere generale)
Il monastero costituisce un'importante punto di riferimento religioso per i pellegrini lungo il diverticolo d'origine romana che dall'antica "Porta Orientalis" di Florentia si riconnetteva alla Cassia Vetus, divenuta la romea "Strata Sancti Petri" (poi detta via dei Setteponti).
1062 (cenni storici carattere generale)
Nel 1062 il monastero è assalito da una masnada di sgherri, della quale la storiografia fiorentina individua come mandanti il Mezzabarba ed il marchese Goffredo, che incendia e depreda il cenobio. L'episodio sarà raffigurato allo scadere del XVII secolo dal bergamasco Defendente di Domenico Ghislandi ("La strage di San Salvi") nella cappella maggiore della chiesa del S. Sepolcro del monastero vallombrosano di Astino (Bergamo).
1066 - 1067 (cenni storici carattere generale)
Verso il 1066-1067 il Mezzabarba fonda il monastero di S. Pier Maggiore ad oriente di Firenze, coadiuvato da Ghisla di Rodolfo di Geremia (m. post 1089), moglie di Farolfo dei Quona, "fidelis" dell'episcopio fiorentino e vicina alla politica filopapalina dei conti di Canossa, patrona di S. Remigio, in antitesi a quello di San Salvi dei Vallombrosani. Il fatto che l'episcopio persegua finalità puramente simoniache e di corruzione e la "renovatio" vallombrosana solo riforme antivescovili e antisimoniache, espresso dalla prima agiografia vallombrosana e dalla politica damianea e gregoriana, però, è stato di recente ridimensionato, in quanto i ceti nobili del contado appoggiavano la riforma vallombrosana per il loro tornaconto in funzione antifiorentina, antiurbana e filoimperiale, conducendo alla "damnatio memoriae" di Mezzabarba e dell'antecedente agiografia vescovile, formatasi nella prima metà dell'XI secolo.
1072 - 1080 (cenni storici carattere generale)
Nell'ultimo quarto dell'XI secolo buona parte della zona attorno alla chiesa fiorentina di S. Remigio è di proprietà del monastero di S. Pier Maggiore (attraverso le donazioni fatte dalle famiglie gravitanti attorno all'episcopio) e di quello di S. Salvi (essendo abate Domenico almeno dal 1072), al quale i fondi sono donati dai "domini rurales", ripresentando quindi, il 'dualismo' conseguente alle lotte di potere fra centri vescovili legati al papato e potere nobiliare d'antico lignaggio. Quello esercitato da S. Salvi sull’espansione del tessuto urbano fra XI e XII secolo è un impatto notevole, risultando particolarmente intenso proprio in quest'area orientale della città, più prossima al monastero stesso, compresa tra il secondo e il terzo cerchio della cinta muraria cittadina. Già nel 1080 l’abate vallombrosano concede in locazione una "chasa cum fundamento", cioè con terra coltivabile, ivi posta. Nel 1079 Ghisla del fu Gerardo accomuna in un’unica donazione S. Salvi e Vallombrosa.
1077 - 1084 (cenni storici ricostruzione della chiesa)
Nel 1084 è patrono del monastero il giudice Teuzo di Pietro detto Eppo, discendente di Rolando di Teuzo, noto giureconsulto fiorentino che agli inizi del XII secolo è vicino alla marchesa Matilde. A partire dal 1084 la chiesa viene ricostruita vicino alla precedente, in località Carrari (la strada romea carrareccia che, dopo aver attraversato il torrente Affrico, transita immediatamente a sud del monastero, tenendosi a debita distanza dall'Arno), in forme più grandi (con la tipica pianta vallombrosana a croce latina e scarsella, copertura a capriate e strette monofore), grazie al contributo degli Eppi e forse fin da allora anche dei Caponsacchi, documentati nelle cose del monastero fin dal 1077 e di 'fede' gregoriana e matildina.
1085 (cenni storici donazioni al monastero)
Nel 1085 Bernardo di Bruno degli Uberti (circa 1050-1133), che diviene vallombrosano, fa una ricca donazione in favore di S. Salvi: il monastero riceve da lui "terras et chasas" particolarmente nella zona del Perilasio, cioè dell’anfiteatro romano "ad plateam Arni", dov'è l'attuale piazza S. Croce), prossima alle monache di S. Pier Maggiore, strettamente serrate dall'espansione 'antagonista' vallombrosana, al punto che in alcuni documenti tale settore della città (fra S. Remigio ed il Parlascio) viene esplicitamente definito anche come "Campus Sancti Salvii".
1087 (cenni storici progressioni costruttive della chiesa e patronati )
La fabbrica della nuova chiesa non è ancora conclusa nel 1087, quando risultano costruiti solo "brachia et tribunal" (il transetto e la scarsella) e l'"oratorium" e solo "inceptum", parlandosi di "ecclesia aedificanda" . Arrigo IV in quell'anno concede al monastero altri privilegi, compresi quelli di erigere mulini lungo l'Arno e i vari torrenti vicini alle proprietà dei monaci. Sempre in quell'anno i Caponsacchi, ghibellini d'origine fiesolana e proprietari di vasti beni nella zona (tra Guarlone, Gignoro e Rovezzano), promettono la rifondazione del monastero, sostituendosi ai vecchi patroni (gli Eppi) ma con il loro assenso, e terminano la chiesa (con i finanziamenti di Gerardo e Martino/Mattolo di Fiorenzo (Caponsacco) di Martino e Giovanni di Guittone detto Caponsacco di Giovanni, suo biscugino). La nuova fabbrica, pertanto, è da porsi sotto l'egida degli Eppi, dei Caponsacchi e di Bernardo degli Uberti.
1089 - 1090 (cenni storici carattere generale)
Nel 1089-1090 i parenti di Bernardo degli Uberti, tra i quali la sorella Comitissa, moglie di Albizo di Gerardo Visdomini, dopo un lungo contenzioso, con una "refuta" (rinuncia) riconoscono definitivamente la donazione da lui fatta al monastero. Altri beni sono donati al cenobio dai Giochi. Uno dei patroni continua ad essere il rammentato Gerardo Caponsacchi (m. verso il 1225), che era stato console di giustizia di Firenze e che nel 1193 sarà podestà di Firenze, quindi di Bologna nel 1212 e nel 1214 di Verona e poi di Todi.
1091 - 1101 (cenni storici carattere generale)
Nel 1091 è ancora abate Domenico, poco dopo lo diviene Bernardo degli Uberti, poi elevato alla suprema direzione dell'Ordine come abate di Vallombrosa verso il 1093, fatto cardinale di S. Crisogono prima del 1099 e dal 1106 vescovo di Parma. S. Salvi è la sede dei primi capitoli generali dell'Ordine. Il capitolo generale del 7 marzo 1101 è presieduto da Bernardo a S. Salvi.
1140 - 1170 (cenni storici carattere generale)
Nel XII secolo le proprietà di S. Salvi si estendono ad oriente, dal Guarlone fino a Varlungo, e altre sono in svariate ulteriori località (valle della Greve, Arcetri, Lucardo, Mugello, Grezzano). Negli anni Quaranta del XII secolo è abate Paolo. Durante lo scisma che oppone Alessandro III (papa dal 1159 al 1181) agli antipapi di nomina imperiale, il monastero di S. Salvi rimane fedele al pontefice. Attorno al 1170 sorge la chiesa di S. Jacopo tra i Fossi, il cui 'popolo' ricade sotto la giurisdizione dei monaci di S. Salvi per volontà di Alessandro III, ponendo contenziosi sui confini con il vicino 'popolo' di S. Remigio.
1187 - 1195 (cenni storici carattere generale)
Nel 1187 diviene abate Gilberto; il monastero comprende la cappella di S. Nicola con tutti i suoi annessi e tutti i possedimenti (edifici presso l'Arno, l'Affrico e altri corsi d'acqua). È vietato dall'imperatore a chiunque di erigere qualsiasi edificio sia sopra sia sotto al monastero, di costruire un canale dall'Arno al monastero stesso o ad altro luogo, nonché di costruire strutture in Arno e in qualsiasi altro corso d'acqua all'interno della proprietà monastica o presso di essa senza il consenso dell'abate e dei confratelli e di gravare il monastero, l'abate, i confratelli e il loro 'popolo' con tasse. Il documento è sottoscritto da "Rudolfus Imperialis Aulae prothonotarius". Almeno dal 1195 è abate Benigno.
1230 ca - 1267 ca (cenni storici carattere generale)
Negli anni Trenta del Duecento Bernardino del rammentato Gherardo de' Caponsacchi dona il suo patronato all'abate. Nel 1239 gli Umiliati vendono a S. Salvi alcuni mulini. L'influenza dei Caponsacchi sul monastero finisce con il tramonto della parte ghibellina dopo il 1267 e i monaci prendono le distanze dagli originari patroni filoimperiali.
1308 - XIV (cenni storici affreschi)
Nel Trecento la chiesa e il monastero vengono riccamente affrescati. Ne rimangono lacerti in una cappella vicino alla sala del Capitolo (cappella poi ridotta a stanza che precede la nuova sagrestia ricavata nella sala capitolare), con "Scene della vita di San Giovanni Gualberto", una "Crocifissione con Angeli e Santi" e "Santi e profeti" nei quadrilobi nella crociera, nelle volte e nelle pareti del chiostro porticato, allora eretto in due fasi susseguenti a destra della chiesa (dove è anche una "Madonna con il Bambino") e in alcune stanze attigue, come un mirabile affresco con animali, raro esempio di decorazione pittorica di tale genere, conservato in una vano tra il chiostro e la chiesa. Significativi anche un "Christus Patiens tra due Santi" e una fascia ad esso superiore con raffigurazione di alberi, vicina a certi affreschi 'laici' coevi presenti in una delle sale della canonica di S. Remigio.
1308 - 1312 (cenni storici carattere generale)
Nel 1308 è sepolto nel monastero Corso di Simone Donati (circa 1250-1308), guelfo nero dichiarato ribelle e ucciso a S. Salvi sulla via per Rovezzano da armigeri catalani del Comune. Nel 1312 presso il monastero si accampa Arrigo VII quando pone l'assedio a Firenze.
1395 - 1450 (cenni storici affresco)
Fra Trecento e Quattrocento Bicci di Lorenzo (circa 1373-1452) affresca una nicchia a S. Salvi con una "Crocifissione tra i due Astanti" e due Santi negli sguanci.
1473 - 1478 (cenni storici dipinto su tavola)
Filippo Baldinucci riferisce che il Verrocchio (1435-1488), con l'aiuto del giovane Leonardo (1452-1519), esegue un "Battesimo di Cristo" per i monaci di S. Salvi. La tavola (ora agli Uffizi) è databile tra il 1473 e il 1478.
XVI (cenni storici scultura e dipinto)
Nel Cinquecento è scolpito un Crocifisso e a fine secolo viene dipinto un quadro che lo circonda, con la raffigurazione dei due Astanti (la Madonna e S. Giovanni Evangelista).
1500 ca - 1511 (cenni storici ampliamento del monastero e dipinto su tavola )
Agli inizi del Cinquecento risale un progetto di ampliamento del complesso: vengono innalzati il refettorio e le cucine. Nel 1511 Raffaellino del Garbo (circa 1466-1524), che già nel 1508 aveva dipinto una tavola per la chiesa di Vallombrosa, esegue per l'altar maggiore della chiesa l'"Incoronazione della Vergine con San Benedetto da Norcia, San Bernardo degli Uberti, San Giovanni Gualberto e San Salvi".
1507 - 1513 (cenni storici sculture di Benedetto da Rovezzano )
Benedetto da Rovezzano (1474-1554), che tra il 1507 e il 1513 realizza il monumento funebre di S. Giovanni Gualberto forse per la Badia di Passignano o per S. Trinita, scolpito su commissione di dom Biagio Milanesi nel Palazzo del Guarlone, dipendenza di S. Salvi e alloggio per gli abati di Vallombrosa (ora nel Museo di S. Salvi), scolpisce pure due rilievi con "San Salvi" e "San Michele Arcangelo" per il pulpito in chiesa e un maestoso lavabo, oltre ad un tabernacolo per la sagrestia vecchia (poi cappella del SS. Sacramento) e una lunetta con "San Giovanni Gualberto tra due monaci" (dom Biagio Milanesi, generale dell'ordine vallombrosano, e l'abate dom Ilario Panichi?) sopra la porta della sala del Capitolo.
1519 - 1527 (cenni storici affresco di Andrea del Sarto e dipinto su tavola )
Negli anni 1520-1527 Andrea del Sarto (1486-1530) dipinge il celeberrimo "Cenacolo" nel nuovo refettorio, già commissionatogli fin dal 1519 da dom Ilario Panichi, che aveva già patrocinato la tavola dell'altar maggiore di Raffaellino del Garbo nel 1511. Inizialmente l'artista dipinge il sottarco (cinque medaglioni con "San Giovanni Gualberto, San Salvi, la Trinità, San Bernardino degli Uberti e San Benedetto"), con l'aiuto di Andrea di Cosimo Feltrini (1477-1548) per quel che concerne le grottesche. Viene dipinta per un altare laterale una "Natività", in passato data anch'essa ad Andrea del Sarto, poi danneggiata dall'alluvione del 1557.
1529 - 1530 (cenni storici danni durante l'assedio di Firenze )
L'assedio di Firenze del 1529-1530 impedisce l'ultimazione della ristrutturazione e l'edificazione di nuove celle per i monaci. La chiesa e il monastero subiscono gravi danni, ad opera degli assedianti, ma anche precedentemente effettuati dai Fiorentini per fare terra bruciata dove si sarebbe potuto accampare il nemico. Sono demolite alcune parti (parrebbe compreso il campanile) e scoperchiati i tetti; non viene toccato il refettorio con l'affresco di Andrea del Sarto. Gli imperiali danneggiano gravemente il complesso scultoreo per il sepolcro di S. Giovanni Gualberto, ancora collocato nel Palazzo del Guarlone. I marmi che avevano subito danni minori saranno riutilizzati nel 1575 per l'altare Fanfani in chiesa (l'angelo reggicartiglio sotto la mensa d'altare) e per il "Tabernacolo delle Reliquie" nella cappella del SS. Sacramento (altri frammenti saranno inseriti nell'altare Sernigi in S. Trinita e nella cappella di S. Giovanni Gualberto alla Badia di Passignano).
1531 (cenni storici destinazione dell'ex monastero )
Dopo l'assedio, nel 1531 il monastero è sommariamente restaurato in parte dagli Uffiziali di Sanità per ospitare un lazzaretto per i malati di peste, spendendovi 3.500 scudi larghi d'oro.
1534 (cenni storici monache vallombrosane di Faenza )
Il 14 agosto 1534 il monastero, ancora parzialmente pericolante e senza tetto, è concesso alle monache vallombrosane di Faenza, seguaci della Beata Umiltà (1226-1310), il cui monastero di S. Giovanni Evangelista viene distrutto in occasione della realizzazione della Fortezza da Basso. Le 77 monache che vi entrano portano con sé, fra l'altro, una statua in marmo trecentesca della Beata Umiltà, una "tavola antica [...] di pittura alla Greca" raffigurante "La Madonna con il Bambino tra San Giovanni Evangelista e la Beata Umiltà" (che verrà inserita sopra la porta della camera della badessa dalla parte del chiostro), una pala con "Santa Umiltà" e storie della sua vita") di Pietro Lorenzetti (1280/1285-1348?), una tavola del 1410 con l'"Assunzione" (che verrà posta nella cappella entro la clausura) e i due sportelli di tabernacolo raffiguranti "L'Angelo e l'Annunziata, Santa Umiltà, San Giovanni Evangelista, San Nicola e una Santa Martire" di Andrea del Sarto (ora nel vicino Museo).
1534 - 1538 (cenni storici prima fase di ricostruzione)
A S. Salvi la prima badessa è Maria Dianora di Pietro Paolo Machiavelli (m. 1538), cui succederà nel 1538 Maria Lisabetta di Girolamo Federighi. Tra il 1534 e il gennaio del 1538 (stile moderno) la badessa Dianora fa eseguire varie opere di 'risarcimento' alla chiesa e al monastero, "che prima era rovinato ogni cosa e inabitabile" (dom Biagio vallombrosano, 1542), e nuove strutture, come le coperture, il campanile e il coro, riedificando "tutta la gran navata sino alla croce" (settore sinistro), spendendo 1.599 fiorini larghi d'oro, grazie anche ai finanziamenti di Clemente VII de' Medici, che, con il duca Alessandro, aveva voluto l'erezione della Fortezza da Basso e con tale finanziamento intende risarcire le monache del loro demolito monastero originario.
1540 (cenni storici seconda fase di ricostruzione)
Nel 1540 la badessa Maria Lisabetta Federighi conclude i lavori facendo edificare il portico a tre arcate nella fronte della chiesa (sotto cui pone, entro una nicchia dipinta, la statua trecentesca della Beata Umiltà), gli altari laterali in arenaria e anche quello presso il coro, dedicato alla Beata Umiltà, "quale era tutto disfatto, non solamente il legname, ma ancora le figure" (dom Biagio vallombrosano, 1542), dove fa porre le reliquie della Beata in una "ricca Urna". Inoltre fa realizzare il pergamo (pulpito) e rialzare il pavimento di chiesa, per il sempre presente rischio di alluvioni. In facciata è apposto, per gratitudine, lo stemma di Clemente VII. Per questi lavori sono spesi 180 fiorini larghi d'oro.
1557 - 1575 (cenni storici alluvione ed erezione dell'altare del Crocifisso )
Nel 1557 un'alluvione d'Arno invade il monastero e la chiesa, arrecando numerosi danni, anche alle reliquie della Beata Umiltà e alla tavola della "Natività". È allora badessa Beatrice di Luca Ubertini, che lo sarà ancora nel 1572, quando le reliquie della Beata Umiltà sono traslate dal coro all'altare di sagrestia vecchia. Nel 1575 i Fanfani erigono un altare nel transetto sinistro di chiesa, reimpiegando anche un frammento d'opera in marmo di Benedetto da Rovezzano; per esso, dedicato ai "BEATI MORTUI", Francesco Morandini da Poppi (1544-1597) esegue una "Crocifissione con la Vergine, la Maddalena e quattro Santi" (tra i quali S. Sebastiano, S. Brigida e S. Antonio Abate).
1562 (cenni storici carattere generale )
Nel 1562 sono venduti all'Opera del Duomo i frammenti marmorei maggiormente danneggiati del monumento a S. Giovanni Gualberto di Benedetto da Rovezzano.
1597 ante - 1630 ante (cenni storici carattere generale )
Il Cigoli (1559-1613) affresca nel parlatorio "dentro la clausura" una "Crocifissione con i due Astanti". Nel 1610 risulta essere badessa Annalena Gherardini. Domenico Cresti detto il Passignano (1559-1638) dipinge una "La Beata Umiltà risuscita un bambino morto".
1616 (cenni storici Compagnia di S. Giovanni Gualberto )
Presso il monastero "delle Reverende Monache di San Giovanni Evangelista, dette di S. Salvi fuori della Porta alla Croce di Firenze" viene eretta la Compagnia di S. Giovanni Gualberto, i cui Capitoli risalgono al 1616 (stile moderno).
1623 - 1624 (cenni storici visita pastorale e altare della Beata Umiltà )
Da una visita pastorale di Alessandro Marzi Medici (arcivescovo dal 1605 al 1630) apprendiamo che in sagrestia vecchia, presso l'altare con un "tabernacolo un marmo bianco, con l'Immagine della SS. Annunziata, [...] è [...] un luogo come un'arca fatto di muro, nel quale è una finestrella quadra [...] dove si dice essere stato per molt'anni il Corpo della Serva di Dio Humiltà in una cassa, e fino all'anno 1624, e del mese di marzo [il 31 marzo. N.d.R.] cavato e riposto in un'altra cassa e traslata sopra e dietro all'Altare di detta [...] Umiltà in detta Chiesa. Di poi da noi si visitò l'Altare, a man ritta all'entrare in Chiesa sotto il Coro, [...] quale è fabbricato di pietre serene intagliate e lavorate, toccate d'oro di lavoro [...] composito, e con tavola di mano del Cavalier Domenico Passignani, con l'immagine di detta Serva di Dio in ginocchioni [...] alla presenza della quale appare un fanciullo morto". A restaurare l'altare era stato nel 1623 il monaco padovano Clemente Bonetti.
1624 post - XVII (cenni storici altare della SS. Annunziata )
Giovan Battista Paggi (1554-1627) esegue un'"Annunciazione" per l'altare di sinistra nella nave, eretto da dom Stefano Mattioni, quadro già dato invece dal Moreni a Giovan Battista di Orazio Vanni (1600-1660). Il Mattioni aveva professato in Vallombrosa il 16 aprile 1624, poi ricoprendo molti incarichi in seno alla congregazione, giungendo fino al settimo grado.
1629 ca - 1681 (cenni storici carattere generale)
Come attestano il confessore delle monache, dom Zanobi Spini vallombrosano (m. 1630), Cosimo Friconesi "civis et mercator florentinus" ed altri testimoni e come è poi stampato nel 1681 in occasione della causa di beatificazione di Umiltà da Faenza, il corpo della Beata si trova allora presso l'altare "dove è la tavola di detta Serva di Dio, all'entrare in Chiesa a man ritta", reliquia che fino almeno al 1618-1619 era "in Sagrestia in luogo deputato". Il 22 maggio si celebra ogni anno in chiesa la festività della Beata, poi spostata "nel secondo giorno della Pentecoste". Nel 1638 la badessa Isabella Gherardini fa apporre una lapide in memoria della leggendaria fondazione del primo oratorio di S. Salvi, ritenuto ascendere al IX secolo.
1685 ante - 1685 (cenni storici portale del monastero)
Pier Francesco Silvani (1619-1685) disegna il portale del monastero, venendo pagato 300 scudi.
1685 ca - 1750 ca (cenni storici pitture murali)
Tra fine del Seicento e prima metà del Settecento la chiesa viene ridecorata sia nella scarsella, introdotta da un arcone su polastri compositi, sia nella nave, mediante false volte in incannucciato al di sotto delle capriate di copertura. Sono tamponate le ampie monofore laterali cinquecentesche e vengono aperti nuovi finestroni centinati nella nave e nel transetto. Di lato al quadro di Raffaellino del Garbo nella parete presbiteriale di fondo sono dipinte a monocromo due illusorie nicchie con "San Pietro e San Paolo". Nelle pareti laterali due ampi riquadri con "Le nozze di Cana" e "Gesù e il centurione"; nella cupola una "Gloria di Dio Padre (triangolo) con San Giovanni Gualberto, San Salvi, San Giovanni Evangelista,e Santa Umiltà da Faenza e Angeli", nei pennacchi quattro Virtù e nelle lunette sottostanti la cupola alcuni Cherubini. Nella volta a vela dell'ultima campata della nave è raffigurata una "Gloria di San Salvi (?)", con attorno raffinate quadrature architettoniche
1795 (cenni storici arredi)
Nel 1795, tramite la descrizione di Domenico Moreni, sappiamo che sull'altar maggiore marmoreo alla romana è sempre la tavola di Raffaellino del Garbo "e dalle parti San Giovanni Battista e San Fedele, in due nicchie, che mettono in mezzo la tavola, avente un ricco ornamento" (il Moreni parrebbe sbagliarsi nell'identificazione dei due santi laterali). Al di sotto si trova la predella con "Storie di San Giovanni Gualberto". Negli altari laterali della nave e in quelli del transetto vi sono sempre le opere del Passignano, del Paggi (o del Vanni), del Poppi e la "Natività", allora attribuita ad Andrea del Sarto e ancora fortemente degradata a causa dell'alluvione d'Arno del 1557.
1808 - 1811 (cenni storici soppressione del monastero)
Il monastero viene soppresso in età napoleonica. Dominique Vivant, barone di Denon (1747-1825) sottrae l'opera di Raffaellino del Garbo e l'invia in Francia (già al Louvre, ora si trova al Musée du Petit Palais ad Avignone). Nel 1811 il complesso è assegnato ad un privato e viene eletto un custode delle opere mobili.
1815 - 1820 (cenni storici destinazione dell'ex monastero e della chiesa )
Nel 1815, con la Restaurazione, le monache rientrano nel monastero, ma nel 1817 ne sono allontanate perché l'immobile è destinato ad ospedale per i malati di tifo. Il 30 maggio 1818 da S. Salvi sono trasferite a S. Trinita le reliquie della cocolla di S. Giovanni Gualberto, del mantello della Beata Umiltà e del piviale, casula e mitria di S. Bernardo degli Uberti. I settori non occupati dall'ospedale e gli spazi aperti (compreso l'orto monastico) vengono assegnati quale rendita per il restauro di S. Maria degli Angeli a Firenze. Il complesso viene in seguito frazionato ed alienato dal Demanio, che mantiene solo la proprietà dell'ala dove si trova il refettorio con l'affresco di Andrea del Sarto, aperto al pubblico nel 1820. La chiesa diviene prioria suburbana.
1833 - 1847 (cenni storici carattere generale)
Dal 1835 è parroco di S. Michele a S. Salvi don Orlando Orlandino. Il patronato spetta al Granduca "per le ragioni dei Monaci Vallombrosani e soppresse Monache di S. Salvi e S. Ambrogio". Il braccio di S. Salvi è custodito "in un reliquiario di legno a guisa di braccio"; vi esiste anche "un braccio di S. Umiltà in un reliquiario di cristallo di monte con suo piede". Nel 1845 in una parte dell'ex monastero è aperto un museo con opere di provenienza varia raccolte attorno all'affresco di Andrea del Sarto e la proprietà spetta allo Scrittoio delle Regie Fabbriche. Un'altra porzione dell'immobile ospita la residenza estiva dei Camaldolesi di S. Maria degli Angeli. Distaccata dalla chiesa si trova la sede della ricostituita Compagnia di S. Giovanni Gualberto. Nel 1833 il 'popolo' di S. Michele in S. Salvi conta 1.632 anime, nel 1847 sono 2.800.
1886 - 1898 (cenni storici carattere generale)
Nel 1886 è parroco di S. Michele in S. Salvi don Luigi Adolfi (o Dolfi, a seconda delle fonti), che lo risulta ancora nel 1898; la parrocchia conta allora 9.100 anime. Nel 1887 i terreni contigui all'ex monastero e già di sua pertinenza sono destinati all'erigendo manicomio, progettato da Giacomo Roster (1837-1905) ed inaugurato nel 1891. Il Roster restaura e ristruttura anche il Palazzo del Guarlone, già dei Vallombrosani
1889 - 1904 (cenni storici carattere generale)
In due successive volte, nel 1889 e nel 1904 sono collocati presso i locali del museo del Cenacolo di S. Salvi i gessi dello scultore neoclassico Lorenzo Bartolini (1777-1850).
1930 - 1930 (cenni storici dipinti su tavola e sculture marmoree )
Nel 1930 sono portati alla Galleria dell'Accademia due frammenti di una tavola del Maestro della Maddalena, risalente al 1275/1280 e che raffigura "San Giovanni Evangelista", "Cristo raccomanda la Madonna a San Giovanni Evangelista" e "San Giovanni Evangelista resuscita due uomini avvelenati per mezzo di Aristodemo", "San Giacomo Maggiore", "San Giacomo Minore, Santa Margherita d'Antiochia e santa Maria Maddalena" e "San Giovanni Evangelista immerso nell'olio bollente", che forse le monache della Beata Umiltà da Faenza avevano portato a S. Salvi dal loro precedente monastero nel Cinquecento. Sempre intorno al 1930 sono trasportati al museo di S. Salvi i frammenti marmorei del monumento eseguito da Benedetto da Rovezzano e già dell'Opera del Duomo
1958 - 1998 (cenni storici carattere generale)
Dal 1958 diviene parroco di S. Salvi don Otello Salvestrini (n. 1915) da Tavarnelle. Nel 1970 la parrocchia conta circa 12.000 anime. Nel corso degli Anni Settanta avviene l'adeguamento alle esigenze liturgiche della riforma conciliare e in tale occasione è demolito l’originario altare maggiore, del quale sono riutilizzanti alcuni elementi. Nel 1992 diviene parroco don Silvano Seghi (n. 1941). Dopo il loro distacco nel 1962, nel 1998 sono inseriti in chiesa gli affreschi provenienti dal Tabernacolo del Madonnone, posto all'angolo tra via Aretina e via di S. Salvi; dopo la loro collocazione sono benedetti dall'arcivescovo Silvano Piovanelli (1924-2016).
1981 - 1989 (vicende conservative intero bene)
Importanti restauri sono stati realizzati negli Anni Ottanta. Nel 1981 è ristrutturato il contiguo museo. |
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