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752 (preesistenze intorno)
il primo toponimo è legato al territorio di Vilzacara, probabile deformazione del latino “villa cacciaria” e viene citato in un documento nonantolano dell’anno 752 con cui il re longobardo Astolfo concede ai monaci dell’Abbazia benedettina appena costituitasi il diritto di passaggio attraverso la “selva di Vilzacara”, situata a sud dei loro possedimenti.
825 (preesistenze intorno)
quando ai Longobardi sono subentrati i Franchi, tutta la selva viene donata dall’imperatore Lotario all’Abbazia di Nonantola. Da notare però che, da questo momento in poi, non si parla più solo di selva ma di “corte” di Vilzacara, cioè luogo abitato da una comunità (forse già col suo luogo di culto); tale corte non fa parte della concessione di Lotario.
885 (preesistenze intorno)
è proprio attraversando la selva di Vilzacara che l’8 luglio muore all’improvviso il papa Adriano III, che si sta recando alla dieta di Worms per incontrare l’imperatore Carlo il Grosso percorrendo l’unica via agibile del luogo (corrispondente all’attuale via Viazza). Ricoverato morente presso l’ospizio di S. Alberga (attuale località San Bernardino) viene poi trasportato all’abbazia di Nonantola dove tuttora è sepolto e venerato.
945 (preesistenze intero bene)
il marchese Berengario, futuro re d’Italia, dona la corte di Vilzacara al suo vassallo Riprando; in seguito a scambi il territorio entra a far parte dei vasti possedimenti dei benedettini di Nonantola che sicuramente estendono anche qui la loro preziosa opera di bonifica e coltivazione. E’ a questo periodo che si fa risalire la costruzione della grandiosa basilica romanica, sui resti di un preesistente luogo di culto, a testimoniare l’accresciuta importanza della comunità. E’ comunque molto difficile datare con certezza la chiesa: secondo Don Moretti le colonne avrebbero fatto parte di una basilica forense romana risalente ai primi secoli dopo Cristo; secondo la Mischi De Volpi ci sarebbero più fasi costruttive, a partire da un antico sacello del V secolo a cui fu aggiunta la parte col colonnato in epoca longobarda, cioè nei secoli VII e VIII; Salvini ritiene che la chiesa sia stata costruita nel XII secolo, dopo la demolizione di una preesistente cappella.
1112 (preesistenze intorno)
nei complessi rapporti giuridici e sociali del Medioevo s’inserisce a questo punto la straordinaria figura di Matilde di Canossa la quale, con un importante atto dell’anno fa sì che la corte e selva di Vilzacara sia sottratta ai monaci nonantolani per passare in gestione alla chiesa locale, che è stata dedicata al martire Cesario (è per questo motivo che dopo l’anno mille scompare gradualmente il toponimo Vilzacara sostituito da San Cesario); nella chiesa introduce i canoni regolari provenienti da Modena. Nell’atto di donazione, confermata nell’anno 1115, Matilde indica dettagliatamente i confini della corte, sottolineando in particolare il valore dell’acqua dello Scoltenna che, precisa, “tota mea est”.
1135 (edificazione intero bene)
il Papa Innocenzo III affida la corte e la chiesa di San Cesario ai monaci benedettini di San Benedetto Po (vicino a Mantova) che a loro volta li cederanno al monastero dì San Pietro in Modena. Nel corso dei secoli XII e XIII la corte di San Cesario viene coinvolta nelle lotte di confine fra i due comuni rivali di Modena ghibellina e filo-imperiale e Bologna guelfa e filo-papale. San Cesario è l’avamposto modenese e pertanto dall’anno 1190 diventa un “castello”, cioè un borgo fortificato racchiuso da un profondo fossato, circondato da terrapieni sormontati da palizzate di legno. Tutto il territorio, seguendo la sorte di altri centri di confine, è teatro di sanguinose battaglie che lo rendono di nuovo desolato e disabitato, tanto che si legge in una cronaca modenese che “omnes homines aut mortui sunt, aut inde aufugerunt”. In questo periodo la chiesa doveva avere assunto presumibilmente la configurazione che vediamo ora, eccetto il campanile.
1367 (proprietà intorno)
inizia per S. Cesario una nuova fase della sua storia: col permesso degli Estensi, signori di Modena e Ferrara, prende possesso del luogo la nobile famiglia modenese dei Boschetti nella persona del capitano Albertino I, il quale inizia l’opera di ricostruzione del castello, riduce a coltura le terre e favorisce la nascita di attività commerciali. Non si tratta ancora di un’investitura ufficiale; questa viene concessa col giuspatronato solo nel 1404 ad Alberto II da parte del cardinale Baldassarre Cossa, Vicario di Papa Bonifacio IX in Bologna. I Boschetti sollecitano una investitura ufficiale anche da parte degli Estensi, per i quali prestano servizio come capitani, e finalmente nel 1446 il duca Leonello d’Este eleva a Contea il territorio di S. Cesario concedendone la giurisdizione ad Albertino III e ai suoi discendenti “con le ville e i terreni adiacenti”, con tutti i diritti e facoltà proprie delle investiture dell’epoca, nominandolo: “Conte di S. Cesario, Castel Broilo, Vilzacara e
1438 (distruzione intero bene)
Lazzarelli Mauro Alessandro nelle “Informazioni dell’Archivio del Monastero di S. Pietro”, manoscritti esistenti nella Biblioteca Estense di Modena del 1710-11, afferma che la basilica di S. Cesario subisce un rovinoso incendio.
1529 - 1533 (opere interno)
a pochi anni dalla scomparsa del giovane Gian Galeazzo Boschetti i fratelli gli fanno innalzare un monumento funebre che ancora oggi è conservato nella chiesa. Gian Galeazzo Boschetti era figlio di Albertino V e Diamante di Bartolomeo Gastaldi; era un uomo molto colto tanto che nel 1514 si laurea in Diritto a Roma. E’ rettore della chiesa di San Cesario e di molti benefici, anche fuori d’Italia. Nel 1523 è chiamato a Roma perché il papa Clemente VII gli vuole conferire la porpora cardinalizia; questo però non avviene perché Gian Galeazzo Boschetti, a seguito di un grande male che già da anni lo affliggeva, è costretto a rimanere a San Cesario, dove muore l’anno seguente, il 5 marzo 1524. Solo nel 1827, dopo tre secoli di oblio, Don Severino Fabriani rimane affascinato dal monumento. Con la consulenza del restauratore Malavasi, Don Fabriani arriva ad attribuire l’opera allo scultore modenese Antonio Begarelli (1499-1565)
1544 (edificazione campanile)
Susanna Pico della Mirandola, vedova del conte Roberto Boschetti, dona alla chiesa di S. Cesario la torre campanaria, in stile romanico ravennate, elevata sulla navata nord senza fondazioni, come riporta una lapide collocata sulla porta d’accesso alla sacrestia: “Susanna Pica summo loco nata, Ruberti Boscheti Comit. nobilissimi viri coniux turrim hanc ex latere anno nativitat. Domini MDXLIV extruendam curavit”. In questo periodo si è pensato di rivestire le colonne alla base del campanile con una fodera di mattoni trasformandoli in robusti pilastri rettangolari a causa di gravi fenditure prodottesi nella struttura muraria in seguito al suono delle campane.
1639 (reliquia interno)
il Parroco di S. Cesario Don Agostino Vignoli, per interessamento di Luigi di Paolo Emilio Boschetti, ottiene dalla chiesa di S. Croce in Gerusalemme di Roma l’insigne reliquia della mandibola inferiore del martire San Cesario, che verrà esposta e mostrata ai fedeli in occasione della festa di Ognissanti.
1658 (realizzazione altare)
Papa Alessandro VII concede alla chiesa parrocchiale di S. Cesario il privilegio dell’altare maggiore.
1666 (rifacimento intero bene)
l’Abate Molza, ritenendo la chiesa rude e informe, fa ingabbiare nel gesso gli archi e le colonne interne, innalzare il pavimento, rifare l’intonacatura interna ed esterna e fa aprire due grandi finestre rettangolari sui fianchi, nell’abside e sulla facciata. Con l’obiettivo di rendere lo stile della chiesa più consono alla moda del tempo, cioè il barocco, trasforma completamente l’immagine dell’edificio; un rinnovamento che modifica interamente e profondamente i caratteri dell’antico sacello.
1759 (sepolture interno)
al tempo dell’Arciprete Tommaso Chiappelli all’interno della chiesa esistevano undici altari che, nel 1920 erano stati ridotti a sette; tra quelli rimossi uno era dedicato a Santa Elisabetta, raffigurata in una statua di gesso internata in una nicchia, poi definitivamente sostituita con un quadro raffigurante tre Santi Martiri del Giappone, donato alla parrocchia da Antonio Boschetti negli ultimi anni della sua vita. Il 6 novembre Don Tommaso Chiappelli, delegato del Vescovo, benedice un nuovo cimitero vicino alla chiesa. All’interno della basilica esistevano due sepolture monumentali di famiglie private: una davanti all’altare del Crocefisso, probabilmente voluta nella seconda metà del ‘600 da Girolamo Boschetti e ampliata nel 1778 dal conte Antonio; l’altra sepoltura era collocata nella navata centrale chiusa da una pietra “di macigno” dove erano incise le due lettere maiuscole V. S. ad indicare le due casate dei Varano e degli Scotti
1772 (modifiche interno)
viene costruita una tribuna riservata alla famiglia Boschetti all’interno della basilica nel lato comunicante con una casa, esistente all’epoca a ridosso della fronte sud, di proprietà della stessi signori. In precedenza i Boschetti possedevano un’altra tribuna sulla porta principale della chiesa che fronteggiava l’altare maggiore, anch’essa comunicante con la casa anzidetta; il conte Luigi di Orazio nel 1688 ne rendeva più comoda la scala di accesso e vi collocava un piccolo organo già di proprietà della famiglia e proveniente dalla parrocchiale di Gesso, nel Bolognese, in sostituzione di un precedente organo in pessime condizioni che era stato concesso dalla comunità di S. Cesario.
1777 (restauri sagrestia)
la sagrestia che appare umidissima e collocata a livello della chiesa, viene restaurata e rialzata di tre gradini.
1790 (sepolture interno)
il 15 agosto è vietata la sepoltura all’interno delle chiese per chi non ne aveva particolare onorificenza, pertanto tutte le tombe esistenti all’interno della basilica di S. Cesario, eccetto le sepolture dei Boschetti, dei Varano-Scotti e dei sacerdoti, vengono definitivamente murate. I Boschetti cessano di seppellire i propri cari all’interno della chiesa davanti all’altare del Crocefisso solo dopo il 1843, anno nel quale viene tumulata la contessa Teresa Bertolini Cataldi, vedova del conte Claudio.
1833 (campane campanile)
quattro campane sono state fuse dalla ditta bolognese Serafino Golfieri, poi benedette dal Vescovo di Modena Mons. Adeodato Caleffi nel giorno dell’Immacolata, per la Parrocchia di San Cesario su iniziativa del parroco Don Leopoldo Mucci e con il contributo del Comune di Modena e di alcuni parrocchiani. Alla metà del 1700 sul campanile della chiesa vi erano due sole campane: la maggiore donata da Paolo Emilio Boschetti “aere suo” nel 1583 e benedetta nello stesso anno dall’abate di S. Pietro, D. Zaccaria, rifatta poi nel 1680; la minore fusa nel 1731 dalla ditta Pedretti di Modena su iniziativa del parroco Don Francesco Del Monte.
1903 (proprietà intero bene)
il 23 gennaio, con atto privato nella Curia Arcivescovile di Modena, Claudio e Anton Ferrante Boschetti, padre e figlio, firmano la rinuncia al secolare diritto di patronato sulla chiesa parrocchiale di S. Cesario, diritto che avevano ottenuto da Baldassare Cossa nel 1404.
1942 (restauri intero bene)
fori praticati nelle colonne di mattone mostrano gli antichi pilastri rotondi originari. Si decide allora di iniziare i lavori di restauro per riportare la chiesa alla sua fisionomia originaria. E’ Don Armando Galloni che, avendo intuito la presenza di un’architettura romanica sotto il rifacimento barocco, dà inizio ai lavori di restauro il 6 giugno 1944. Nel 1945 è nominato parroco di San Cesario Don Mario Moretti che prosegue e promuove vivamente i lavori di restauro.
1946 - 1966 (restauri intero bene)
imponenti lavori di restauro promossi dal canonico Don Mario Moretti, iniziati nel 1946 e proseguiti per vent’anni, hanno restituito all’edificio la semplicità e la purezza dello stile romanico, pur tra mille difficoltà e problemi interpretativi. Essi hanno avuto la costante supervisione della Soprintendenza ai Beni Architettonici di Bologna come risulta da alcuni documenti custoditi nell’Archivio Parrocchiale; tra questi si cita: un’autorizzazione, rilasciata dal Soprintendente dott. Alfredo Barbacci (prot n° 1904 del 20 ottobre 1945), per la prosecuzione dei lavori di scrostamento delle stuccature baroccheggianti, e una lettera del 2 luglio 1951 con la quale il Soprintendente esprime l’intenzione di affidare il progetto di restauro al suo funzionario di Modena prof. Sbrozzi.
1946 - 1966 (restauri intero bene)
vengono demoliti i sette altari esistenti e viene rifatto l’altare centrale: si ritrovano così gli antichi pavimenti del nucleo edilizio originario. Il soffitto e il tetto sono completamente rifatti; non viene ripristinato il tetto a capanna come era originariamente, ma si alzano le capriate della navata centrale, così restano inferiori le navate laterali. Si isola la basilica dagli edifici che vi si addossavano intorno, abbattendoli. Infine si restaurano i capitelli, dei quali due rovinati vengono completamente rifatti. Il restauro della facciata inizia nel 1952 e termina con l’inaugurazione il 9 maggio 1954, alla presenza di Mons. Marino Bergonzini. Nel 1954, dopo un periodo di sospensione dei lavori, con un finanziamento di circa £ 5.600.000 stanziato dal Ministero dei Lavori Pubblici grazie all’interessamento del nuovo soprintendente prof. Arch. Raffaello Piccoli, il cantiere riparte e i lavori sono aggiudicati in appalto all’impresa Ezio Sassi di Imola.
1954 - 1955 (restauri copertura)
nell’ottobre dello stesso anno iniziano le opere di demolizione del tetto e della volta interna della chiesa, tutto di gesso barocco, partendo dalla parte della facciata e il 30 aprile 1955 terminano nella zona absidale. La ricostruzione della copertura ha comportato la riedificazione di tutta la porzione superiore della navata centrale con murature a tre teste di mattoni pieni scandite dalle lesene interne ed esterne e con l’apertura di monofore laterali per l’illuminazione diretta dall’esterno dell’aula centrale. Sopra l’abside maggiore è stato poi ricostruito del tutto ex novo un timpano dell’altezza di un metro e trenta centimetri.
1967 (realizzazione pavimento)
il 25 aprile si ha l’inaugurazione del nuovo pavimento in cotto della chiesa realizzato ad un livello inferiore rispetto al precedente e donato dalle sorelle Beccari.
1983 (riscaldamento interno)
la chiesa viene dotata di un nuovo impianto di riscaldamento ad aria calda con una caldaia collocata in centrale termica.
2009 (restauri copertura)
in seguito alla caduta dal soffitto della chiesa di alcuni cocci di laterizio a causa di movimenti torsionali delle terzere lignee che hanno provocato tensioni nei tavelloni di produzione industriale utilizzati nel tavolato, Don Fabrizio Colombini promuove il restauro con miglioramento sismico della copertura della chiesa, con la supervisione della Soprintendenza di Bologna. Il progetto dell’ing. Alberto Bortolotti di San Cesario ha previsto la sostituzione del precedente tavolato con un doppio strato di assito ad elementi incrociati, l’inserimento di tiranti metallici incrociati su ogni spiovente tra una capriata e quella successiva, il risanamento di alcune strutture lignee e il ripristino delle lattonerie in lamiera di rame col manto di copertura in coppi a canale. L’impresa aggiudicataria dell’appalto è “L’Arca” di Modena che esegue i lavori con elevata perizia e competenza.
2015 - 2016 (restauro e consolidamento casa canonica)
Vengono eseguiti importanti lavori di restauro alla canonica. |
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