chiese italiane censimento chiese edifici di culto edifici sacri beni immobili patrimonio ecclesiastico beni culturali ecclesiastici beni culturali della Chiesa cattolica edilizia di culto restauro adeguamento liturgico Laveno-Mombello Milano chiesa sussidiaria S. Maria in Cà Deserta Parrocchia dei Santi Filippo e Giacomo Struttura; Impianto strutturale; Lapidi e iscrizioni presbiterio - aggiunta arredo (1974) X - XI(costruzione interno); XV - XVI(costruzione cappelle laterali); 1635 - 1683(ricostruzione coro); 1683 - 1750(ricostruzione navata); 1750 - 1756(ricostruzione navata); 1859 - 1859(restauro intero bene); 1924 - 1933(completamento facciata); 1974 - 1975(restauri e adeguamento liturgico intero bene)
Chiesa di Santa Maria in Cà Deserta
Tipologia e qualificazione
chiesa sussidiaria
Denominazione
Chiesa di Santa Maria in Cà Deserta <LAVENO MOMBELLO>
Altre denominazioni
S. Maria in Cà Deserta
Autore (ruolo)
Buzzi, Carlo (progetto per il coro)
Besozzi, Gioacchino (progetto ampliamento)
Ambito culturale (ruolo)
maestranze lombarde (costruzione e decorazione)
Notizie Storiche
X - XI (costruzione interno)
Nell’ottobre 1081 i coniugi Vuifredo e Berta donarono al monastero di S. Pietro di Cluny una cappella “edificata in honore Sancte Marie Virginia et sanctorum Michaelis et Petri” esistente “propre ripa Lauenum”, con cimitero e terreni “in loco Varade, et in Casa Deserta”. L’atto si inquadrava in una politica di riforma morale delle terre più estreme, ma anche in un’azione sostanzialmente volta a sottrarre i beni appartenenti ai vassalli all’ingerenza dei vescovi-conti e ai pesi feudali: Vuiferto proveniva dai de Carcano, ceto di “capitanei” milanesi di lunga stirpe; Berta era imparentata, per via di un primo matrimonio, con i conti di Bergamo. Depone per una più antica fondazione della chiesa, in età longobarda, la menzione di Laveno nell’atto di fondazione di S. Pietro in Ciel d’Oro a Pavia da parte di Liutprando, confermata dall’esistenza in loco di proprietà “Sancti Petri Coeli Aueri” ancora nel 1081; ma è ipotesi che manca di altri riscontri, documentali e di scavo.
XV - XVI (costruzione cappelle laterali)
Non è neppure chiaro se presso la chiesa (che almeno dal 1085 risulterebbe sottoposta all’abbazia comasca di Vertemate) sia stato in seguito creato un monastero. Altrettanto poco documentato è il cammino intrapreso verso la realtà parrocchiale autonoma. Se, infatti, è probabile che sin dal XII-XIII sec. la chiesa sia stata progressivamente riunita all’autorità ambrosiana e alla pieve di Leggiuno, già nel XIV la “capella” di Laveno appare sotto la doppia protezione di “Ss. Marie et Jacobi” (Notizia Cleri), con una dualità corrispondente a luoghi di culto concorrenti: l’antica chiesa matrice e la “nuova” (S. Giacomo) nell’abitato sul lago. Di certo, le prime importanti “dotazioni” furono riversate dai lavenesi al luogo di culto presso il cimitero, come attesta il legato di Romerio, “vir nobili et […] dominus”, del 1405 per la costruzione di due altari (san Giovanni Apostolo e Maria) e, finalmente, per una messa quotidiana e il sostentamento di un cappellano residente.
1635 - 1683 (ricostruzione coro)
Una relazione sui luoghi di culto plebani redatta nel 1635 dal prevosto di Leggiuno, recentemente recuperata (Motta, Zavattari), informava che la chiesa “per essere fabrica anticha e angusta di nuovo sia dato principio per reedificar il choro”. Nonostante, contemporaneamente, si facesse convergere sull’obbiettivo ogni risorsa legata a fondi e legati, la fabbrica andò a rilento. Nel 1640 il card. Cesare Monti vi inviò il proprio architetto di fiducia, Carlo Buzzi che constatò l’avvio effettivo della demolizione del vecchio coro (“visitet […] iacta fundamenta […] ecclesiae S. Mariae) e produsse, forse, un disegno per il proseguo dei lavori: “et iusta eius delineationem fabbrica prosequatur”. Le opere erano terminate nel 1683, quando, atti della visita del card. Federico Visconti alla mano, del cantiere non si fa più cenno e la chiesa, prima dotata di tre altari, risulta riformata nell’unico altare maggiore.
1683 - 1750 (ricostruzione navata)
Nonostante nel 1704 il coro fosse descritto come una “nicchia” è quasi indubitabile che sia stato eseguito secondo il piano seicentesco. Nel 1748, infatti, il card. Pozzobonelli giudicò la chiesa inagibile e semidistrutta; ma aggiunse: “novae erectionis fundamenta iacerunt”. Del resto, funzioni e sepolture erano state trasferite da tempo nella parrocchiale sul lago. A far luce sui destini di S. Maria soccorrono due documenti. In un progetto di ampliamento del 1750, cui si diede seguito, furono evidenziati i muri in quel tempo “rialzati […] per il Coro […] coperto con volta di cotto e tetto”. In una lettera collegata al progetto si precisava: “si è trovato che il Dissegno molto fa formato per la […] Riedificaz.[io]ne […] non s'adatta alla quantità assai numeroso di d.[ett]o Borgo". È probabile che il “dissegno” fosse ancora quello di Carlo Buzzi per una chiesa integralmente nuova di cui erano state gettate le fondamenta (viste nel 1748), attuato solo per il coro e abbandonato nel 1750.
1750 - 1756 (ricostruzione navata)
Il piano del 1750 per l’ampliamento di S. Maria fu redatto dall’ingegnere Gioacchino Besozzi. La pratica fu presenta il 3 ottobre di quell’anno direttamente al card. Giuseppe Pozzobonelli “eseguendosi in ciò li veneratis.[s]mi comandam.[en]ti di Sua Em.[inen]za”, come si legge nelle carte di accompagnamento al progetto più volte sin qui citate. Il ruolo di tramite tra il cardinale, la fabbriceria e gli uffici curiali fu assunto da Gaetano Tinelli che, seppure deputato della fabbriceria, sembra essersi mosso in autonomia incaricando un professionista ambrosiano di aggiornata formazione per la nuova chiesa. Già in altra occasione, e proprio in quegli anni, Gaetano aveva infatti dato prova di grande sensibilità estetica chiamando a Laveno Giovanni Battista Riccardi nell’inedito ruolo di architetto paesaggistica, per affidargli la riforma monumentale della dimora di famiglia, anche a costo di sperperare nell’impresa ingenti fortune. Il cantiere fu terminato nel 1756 (consacrazione).
1859 (restauro intero bene)
Nel 1849, Laveno fu dichiarata dal governo austriaco "Imperial Regia Piazzaforte Militare e Marittima del Regno Lombardo-Veneto". Ne conseguì una militarizzazione forzata dei presidi panoramici, la costruzione di fortini e una celebre battaglia garibaldina, nel 1859. Nel fece le spese anche la chiesa di S. Maria, requisita nel 1849 e adibita a caserma e polveriera. Restituita al culto, fu restaurata nel 1859 con aggiunta del pronao colonnato (previsto già nel 1750, ma eseguito con maggiore cadenza classicheggiante), sacrestia, cantoria, pulpito. Infine, grazie all'opera di "buon pennello", vengono decorati altari e cappelle laterali.
1924 - 1933 (completamento facciata)
Durante la Prima Guerra Mondiale la chiesa fu adibita ancora a usi militari e, anche questa volta, la restituzione al culto è motivo per opere di arricchimento e abbellimento. Primo passo fu la creazione, davanti alla chiesa, di un Parco delle Rimembranze, dedicato ai caduti lavenesi. Quindi, nel 1924, per generosa offerta di fedeli e del parroco, furono innalzate sul timpano del pronao tre statue, due angeli acroteriali e un S. Michele svettante al centro. Nel 1928, infine, vengono collocate altre urne ornamentali in facciata. Seguono opere di manutenzione del prospetto protratte sino al 1933.
1974 - 1975 (restauri e adeguamento liturgico intero bene)
Nel 1974 fu avviata una prima campagna di restauro che terminò nel 1975. Fu ripristinato il tetto e furono restaurati stucchi e dipinti interni. Il rifacimento del pavimento culminò con la revisione dell'area presbiteriale. Durante i lavori all'altare furono rinvenute alcune reliquie (citate nelle visite pastorali del XVI sec.) e fu scoperta un'antica mensa di pietra che, ad un'attenta analisi, avrebbe potuto rivelare alcuni aspetti della millenaria storia della chiesa. L'intervento del 1974 è ben documentato nell'archivio parrocchiale (chiese sussidiarie, cart. I, fasc. 3; cfr. Cazzani, p., 53).
Descrizione
La chiesa di Santa Maria in Ca’ Deserta sorge su un poggio poco avanti l’abitato di Laveno. È il più antico luogo di culto della località, sin dalle origini legato alla pia memoria dei defunti. La chiesa, infatti, fu menzionata una prima volta nel 1081, quando veniva donata al monastero di S. Pietro di Cluny. Già circondata da un cimitero, sorgeva isolata (come ancora oggi) “in loco Varade, et in Casa Deserta”, ossia laddove ancora più antichi insediamenti erano stati abbandonati. Parrocchiale per qualche secolo (già nel XVII sec. la sede fu trasferita nella più centrale sede dedicata ai Santi Filippo e Giacomo), fu ricostruita in due riprese, nel corso del XVII sec. e poi poco dopo la metà del Settecento. La prima fase portò ad innalzare un coro, molto probabilmente secondo il disegno che Carlo Buzzi, allora architetto della Fabbrica del Duomo, produsse nel 1640 per una chiesa integralmente nuova. Quel disegno, che ancora i lavenesi contavano di completare nel corso della prima metà del secolo seguente, fu abbandonato nel 1750 in favore di un nuovo progetto di più ampio respiro elaborato dall’ingegnere Gioacchino Besozzi. Della primitiva costruzione non sono rimasti che lacerti, raccolti sotto il pronao. La facciata si eleva in un unico settore, alto e rettangolare, delimitato da gruppi di lesene alle estremità, suddiviso in due campi e coronato di timpano classicheggiante ad ali spezzate, secondo il disegno del Besozzi. La precede il portico, già previsto nel progetto originario, ma giustapposto nel 1859, in forme decisamente tardo neoclassiche, con colonne doriche accoppiate e frontone. Ai lati del portone d’ingresso, dalla cornice mistilinea settecentesca in granito di Baveno, sono stati immurati due affreschi di provenienza ignota: un san Giovanni Evangelista, databile al XVII sec., e una Madonna con Gesù Bambino, di difficile datazione, certamente anteriore, forse cinquecentesco. L’interno del tempio presenta una ben studiata continuità spaziale, frutto dell’elaborazione in chiave scenografica dei solidi impianti che la tradizione ambrosiana aveva distribuito nei principali luoghi di culto, con particolare riferimento al prototipo seicentesco del Sant’Alessandro di Besozzo. L’aula unica, dalle pareti mosse da nicchie per le cantorie e dalle cappelle laterali, culmina senza soluzione di continuità spaziale nel presbiterio grazie a uno studiato raccordo inclinato delle superfici, espediente certo motivato dalla ristrettezza del passo del coro seicentesco cui la fabbrica settecentesca dovette adeguarsi. Contribuiscono alla vivacità delle masse gli ornamenti affrescati, sapientemente ripresi durante un restauro ottocentesco a partire da qualche matrice originale del XVIII sec. che non si riesce più a individuare, e il gioco alternato delle volte. Le due cappelle laterali sono dedicate a san Giovanni Battista e al Crocifisso. La prima ospita un altare coevo alla ricostruzione settecentesca, in stucco a colonne binate a frontone mistilineo. Altri stucchi decorano la volta della cappella, mentre cartigli ornamentali o recanti iscrizioni e motti sono distribuiti su pareti e volte, opere che presentano, nel complesso, una certa continuità di disegno e impostazione con la chiesa parrocchiale di Mesenzana, pure ricostruita poco dopo le metà del XVIII sec. L’altare del Crocifisso è ottocentesco, forse introdotto durante i lavori del 1859 che portarono alla costruzione del pronao esterno. L’altare maggiore, invece, è un vivace pannello ligneo simulante un altare tridimensionale. Attorno alla chiesa si estende il sagrato che confluisce nel fronteggiante Parco delle Rimembranze, tra cipressi e una folta vegetazione. Nel parco sono radunate le memorie dei caduti. Domina, al centro, un interessante monumento tardo neoclassico con una Pietà in arenaria e la sepoltura di Sir Henry Trelawney, pastore anglicano convertitosi al cattolicesimo e morto a Laveno nel 1834.
Struttura
Murature d'ambito a sezione normalizzata formate da inerti (pietra a spacco e laterizi) legati da giunti di malta. Tutte le murature della chiesa, all'esterno e all'interno, sono intonacate. Le volte sono realizzate in mattoni ("volta di cotto", fu precisato nel 1750).
Impianto strutturale
Edificio innalzato con murature continue a sezione normalizzata senza il ricorso a elementi puntuali isolati. L’aula unica è suddivisa in quattro campate diseguali da lesene con capitello corinzio e da archi trasversi. La prima campata, di passo ridotto, è coperta con volta a botte. La campata centrale, quasi quadrata, è coperta con una volta a vela ‘unghiata’, ossia scavata da profonde nicchie sorgenti dai muri d’ambito dove sono ospitati due finestroni a profilo mistilineo, uno per parte. La terza campata è rettangolare ed è coperta, come la prima, con una volta a botte. La quarta campata è impostata sul trapezio, per raccordare l’invaso della chiesa al passo del coro preesistente. Conseguentemente, è coperta da una volta botte impostata su due arcate di diverso centro; la minore, sopra il coro, costituisce anche l’arco trionfale per l’altare maggiore. Il presbiterio è impostato sul quadrato e termina in un’abside dalla terminazione in semicurva. La continuità tra questi due settori terminali della chiesa è sottolineata da un complesso gioco di volte: il presbiterio è coperto da una mezza vela ‘unghiata’ la cui metà estrema si fonde con le due nervature del semicatino absidale raccordate al medesimo vertice.
Lapidi e iscrizioni
Nella chiesa si conservano due lapidi. La prima ricorda il legato Romerio del 1405, ma fu ripresa nel XVII sec., se non, addirittura, nel XVIII sec. La seconda, invece, ricorda la consacrazione del rinnovato luogo di culto nel 1756. All’interno si conserva anche il monumento marmoreo, con effige, del sac. Giovanni Battista Vegezzi (1789-1858), raffinato ed erudito teologo originario di Laveno.
Adeguamento liturgico
presbiterio - aggiunta arredo (1974)
L'area presbiteriale fu riformata nel 1974. Durante i lavori all'altare furono rinvenute alcune reliquie (citate nelle visite pastorali del XVI sec.) e fu scoperta un'antica mensa di pietra che, ad un'attenta analisi, avrebbe potuto rivelare alcuni aspetti della millenaria storia della chiesa. La nuova mensa, fissata al pavimento, è stata ricomposta con elementi di recupero, ma l'intervento, nella sostanza, ha rispettato i caratteri salienti di quel settore della chiesa, mantenendo altare maggiore e balaustra di separazione con i fedeli in marmi intarsiati da una bottega di Viggiù nel corso degli ultimi decenni del XVIII sec.